L’amore impossibile e le donne

L’amore impossibile e le donne
Slanci, cadute e trasformazioni del desiderio
Carla Stroppa
2022
14,5x21
Moretti&Vitali
ISBN: 9788871868721
24 euro
Tra l’incanto e la meraviglia dell’infanzia e la naturale spinta individuativa che interrompe la pienezza originaria e costringe a una ricerca esistenziale nella quale si incontrano la delusione, il limite, la perdita e la difficoltà di rapportarsi all’altro da sé, “si dipana l’umano destino”. Tra lo slancio dell’anima che anela all’assoluto d’amore e il bisogno di contenimento e di orientamento dell’Io, si inaugura il viaggio nel labirinto della psiche. La meta di questo viaggio è la trasformazione dello sguardo che l’essere umano posa su se stesso e sulle relazioni. Il sogno d’amore romantico di cui parlano certi miti, la grande letteratura e in generale l’arte, costringe per contrasto alla messa a fuoco del piano di realtà delle relazioni tra gli amanti, ma nello stesso tempo è il lievito di quella trasformazione spirituale della coscienza che Jung ha paragonato all’alchemica Coniunctio oppositorum. È il paradosso della vita: l’impossibile diviene l’unica via percorribile per chi non vuole rinunciare alla pienezza del Sé in cui il maschile e il femminile intrapsichici si riconnettono.
Parlare d’amore oggi, in questa epoca di disincanto confuso con l’idea di emancipazione, è un rischio, una provocazione, un discorso intrinsecamente eversivo e sempre a rischio di fraintendimento. L’autrice ne è perfettamente consapevole, ma l’esperienza analitica con molte donne che sembrano lontane dal sogno romantico rivela che l’inconscio ne è ancora impregnato, e questo sogno non riconosciuto determina sia i nodi patologici sia il potenziale creativo. L’autrice si espone in prima persona, convinta che sia un dovere di trasparenza intellettuale dichiarare il proprio riferimento culturale senza presumere l’oggettività di un argomento tanto complesso e sfuggente.
Percorrendo il sentiero tracciato dai grandi maestri della psicoanalisi, l’autrice evoca con movimenti spiraliformi esperienze personali e frammenti di storie cliniche, corteggiando con volute leggere poeti e letterati la cui sensibilità ha saputo dare voce alle pene d’amore delle quali è intrisa la vita. E così, pagina dopo pagina, scopriamo che dietro agli amori impossibili rivive il sogno romantico di perfetta fusione con l’amante, il desiderio di una passione perfettamente corrisposta, l’idealizzazione dell’altro da sé che non viene percepito nella sua alterità, il bisogno di appagare un vuoto derivante dal fallimento del primo grande amore sperimentato dal bambino con i genitori.
Con la conoscenza derivante dalla sua lunga esperienza professionale e dalla sua sensibilità, l’autrice ci mostra come la discesa negli inferi della propria ombra personale e delle proprie ferite, nonché dei propri ineludibili sogni, sia una preziosa occasione di rinascita che amplia la visione e il sentimento della vita e alfine può persino consentire di riveder le stelle.
Recensioni
Recensione di Ferruccio Vigna su "l'Ombra" n. 21, 2023
La riflessione di Carla Stroppa sulle donne che cercano un “amore impossibile”
di Franco Livorsi
Conosco le riflessioni sempre profonde di Carla Stroppa, espresse in libri interessanti tanto da un punto di vista psicologico analitico quanto da un punto di vista esistenziale. Si tratta di testi spesso segnati da una tendenza alla “letterarietà”, nella forma espressiva e nei riferimenti alla grande poesia e letteratura, fonte di miti vivi che rafforzano le argomentazioni puramente psicologiche dell’autrice. Ho perciò vagliato con interesse diversi tra tali testi, sentendomi affine a tale approccio[1]. Proprio su tale base mi sento di affermare che l’ultimo suo libro, L’amore impossibile e le donne. Slanci, cadute e trasformazioni del desiderio[2], rappresenta un punto d’arrivo, o meglio uno snodo, particolarmente rilevante: in sé e nel suo percorso. Mi pare il suo libro più “bello”, in senso formale; e il più teorico, come tentativo di definire una vision; e anche il più “clinico”, ossia il più strettamente legato alla pratica di psicoanalista junghiana operante a Bergamo, ma con forti legami con Torino e Milano. L’autrice fa parte dell’Associazione Ricerche di Psicologia Analitica e dell’International Association of Analytical Psychology. È pure stata docente della scuola di specializzazione in Psicologia della salute dell’Università di Torino.
Il filo rosso di quest’ultimo suo lavoro (ultimo prima del prossimo), è la tematizzazione dei casi di ricerca di un amore totalmente coinvolgente, segnato da un immaginario fusionale. Che cosa comporta tale genere di relazione? Quali delusioni suscita più o meno sempre? Quali drammi sottende e scatena, e come possono essere o non essere superati a livello di pratica psicologico-analitica? E che cosa ci dicono tali cose in termini di visione delle profondità della psiche?
Intanto l’amore detto “impossibile”, vissuto come un che di assoluto, per il suo stesso sogno di assolutezza risulta impregnato di quella che i romantici, tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo chiamavano sehnsucht: ’”anelito”, o “struggente nostalgia” di una vita infinita, o di un’infinitizzazione della vita, o di una vita piena di senso (nella gioia e spesso nel dolore).[3] Ogni tensione ad una vita veramente piena, sensata, tale che in essa ci possiamo specchiare non in astratto, ma nella percezione viva e piena, gira attorno a tale istanza d’infinitizzazione della nostra sempre contingente esperienza (in tal caso erotica), per gli junghiani presente in noi a priori (archetipica, alle radici dell’inconscio).
Tale istanza di una vita infinita non è affatto solo “intellettuale”, o da intellettuali, ma concerne l’ànthropos. Pirandello la descrisse in un “caruso” analfabeta di quelli che ancora un secolo fa, o poco più, vivevano seminudi e abbrutiti nei cunicoli delle miniere di zolfo della Sicilia, nella novella: Ciaula scopre la luna.[4] Il “caruso” in una certa notte provava una sorta di estasi di fronte al cielo stellato.
Naturalmente ciascuno di noi è coinvolto in questo bisogno antropologico di una vita infinita, e tanto più di un amore illimitato, a prescindere non solo da cultura o soldi, ma dal sesso. Ma secondo la Stroppa questa problematica, che cerca l’infinità nell’esperienza d’amore, e segnatamente in una vita sentimentale realizzata, è più “scoperta” nelle donne: forse perché per tanti secoli sono state discriminate e misconosciute (e quindi sono state e sono più portate a sognare la liberazione totale), ma a suo parere anche perché l’eros, che vuole percepire l’infinità nella stessa vita sentimentale interpersonale, è più manifesto nelle donne (o meglio in molte donne), mentre le relazioni di potere e anche il raziocinio astratto, a livello di coscienza, sono più presenti tra i maschi.
Naturalmente si tratta di distinzioni oggi da prendere, e pure da lei più volte prese, cum grano salis perché nel nostro tempo il discorso di Jung dell’uomo che è più Logos a livello cosciente e più Eros (Anima, femminile) nell’inconscio, e della donna che per contro sarebbe Eros a livello di coscienza e Logos nell’inconscio (Animus, maschile)[5], generalmente non è accettato neppure tra gli junghiani, né tento meno tra le junghiane, che oggi parlano di Anima come archetipo dell’inconscio personalizzato sia per l’uomo che per la donna: un’Anima, archetipica, in certo modo androgina, sia maschile che femminile, e perciò spiritualmente bisessuale.
Tuttavia, sembra dirci la Stroppa, una certa sensibilità “Eros”, almeno solitamente, si manifesta in modo più evidente nella donna, portata in modo più scoperto a non separare sfera emozionale e sfera pratico-calcolante. Sottolinearlo può pure avere una certa allure femminista, che certo all’autrice non dispiace. E nemmeno a me, in lei e nelle donne.
La prima forma di amore “impossibile” è naturalmente l’amore di sé distorto, come in Narciso, il cui vero amore è l’immagine di sé riflessa nello stagno, sino ad affogarvi dentro per abbracciarla (come in Ovidio)[6]. Ma pure quell’infantilismo, totalmente autocentrato, cela non solo l’amor di sé distorto, ma un sogno fusionale con un nostro sé più profondo, che ove superasse l’infantilismo andrebbe al di là del narcisismo, che in fondo è confusione, come avrebbe detto Rousseau, tra il sano amor di sé, che in sé cerca l’universalmente umano (e “quindi” l’infinito nel finito), e il distorto amor di sé, che è l’”amor proprio”[7], il quale ultimo si perde appunto in un amore per la propria immagine che si potrebbe dire onanistico. Spesso la grande letteratura ci racconta il cammino dal falso egocentrismo narcisistico all’umanizzazione (p. 166), o magari ci racconta tale cammino mancato di umanizzazione. In specie nell’amore.
Mi sembra che la Stroppa colga due modalità di “amore impossibile”, ossia di sogno di un amore infinito in vita: una concerne la storia di ciascuno legata all’infanzia ed anche prima fanciullezza; ed una ha a che fare con la costellazione archetipica di ciascuno, che concerne tutte le nostre disposizioni ancestrali comprese tra l’Ombra e il Sé.
In fondo l’amore impossibile legato ad una mancata o cattiva relazione empatico-unitiva tra i genitori e tra uno o due genitori e i figli, è quanto nella Stroppa resta del retroterra pure classicamente freudiano della psicoanalisi: un freudismo che nel considerare il male di vivere “attuale” che chiamiamo psiconevrosi partiva sempre dal criterio dello chercher l’enfant. Qui però il focus non è tanto il non voler o poter superare l’Edipo – ossia l’amore-odio per papà, e l’amore assoluto per la mamma del bambino piccolo fattosi adolescente o adulto o magari vecchio (proprio dello psiconevrotico secondo Freud), quanto il non aver conosciuto lo stato fusionale positivo, o meglio unitivo, da parte dei genitori, molto spesso per relazioni sballate tra i genitori stessi, che finivano, e sempre finiscono, per proiettare i fallimenti dell’unione tra loro sui bambini (così “non amati”, o “non abbastanza amati”, o “malamente amati”). Nella visione freudiana prevaleva un’istanza di normalizzazione, per cui la persona disadattata detta nevrotica avrebbe dovuto essere aiutata a superare un infantilismo che l’avrebbe bloccata, tenendola sempre invischiata nei drammi dell’amore genitoriale fallito o insuperato, sicché laddove c’era l’inconscio potessi esservi l’Io[8]; per contro nella visione junghiana - e della Stroppa, e nostra - la ricerca “infantile” dello stato fusionale, o quantomeno empaticamente unitivo, è considerata naturale, antropologica; ma tale ricerca va spostata non solo al di là della coppia genitoriale di partenza, ma pure oltre la relazione empatica tra singole persone l’un l’altra empaticamente unite, che si amino o si vogliano “un bene dell’anima”. Infatti le persone che hanno, o cercano, o sognano un rapporto erotico “assoluto” spezzano l’isolamento reciproco - che a un certo punto emerge pure nell’amore - solo riconoscendosi sempre più e meglio nella loro propria interiorità più profonda: tramite l’immersione nel Sé, o almeno tramite “il bagno” nel Sé, che è pure l’imago dei di tipo interiore. L’archetipo del Sé - primus inter pares tra gli archetipi, minimo comun denominatore infinitizzante di ogni psiche – attesta – e, quel che più conta – “fa vivere”, il senso di un infinito a priori in noi, che ci consente di rinascere a noi stessi: non già per guarire, ma per essere noi stessi, nella misura in cui si possa, si sappia o si voglia “esserlo” (insomma, ci fa crescere e ci migliora nel profondo).
Tutto ciò, detto da me in modo un poco dottrinario, è calato nell’assolutamente concreto da Carla Stroppa, che ritrova tale “succo”, o tali “succhi di spirito”, nei casi delle persone - probabilmente soprattutto donne - andate in analisi da lei.
A mio parere, anche se non credo che l’autrice ce lo dirà mai, tra i “casi” esemplari raccontati con dovizia di particolari e in modo vivo, e interpretati con riferimenti alla vita onirica e concreta, c’è pure quello della stessa Stroppa. La mia sarà un’illazione, ma in più punti ho avuto l’impressione che parlando del caso più intrigante, quello di “Bianca”, parlasse parecchio pure di sé stessa. Ma la mia impressione forte potrebbe anche essere effetto della dinamica “transferale” dell’autrice, cioè del suo “transfert positivo” nei confronti di questa “paziente”.
Con questo sono a un punto chiave dell’impostazione: il transfert tra persone, che proiettano la personalità profonda, in specie l’affettività, sull’altro. Anche e soprattutto in analisi. Questo è un punto chiave della psicoanalisi perché naturalmente il contatto intimo tra l’anima del cosiddetto paziente e quella dello psicoterapeuta genera varie forme di proiezione, d’ogni segno o intensità; e non plagiare il nevrotico, ma neppure estraniarsi da lui, è fondamentale. E infatti la Stroppa nota: “Diamo per scontato che l’analista conosca le regole del gioco transferale e la natura delle proiezioni. In effetti, il metodo si basa essenzialmente sulla gestione del transfert e controtransfert nel rapporto tra coscienza e inconscio (p. 141).”
Anche lì si nota una differenza tra freudismo e junghismo, Nel freudismo un certo distacco è programmato, nel senso che il “paziente” sta in un lettino e lo psicanalista alle sue spalle, attento e partecipe, ma senza farsi coinvolgere, e soprattutto senza darlo a vedere al “paziente”. Nello junghismo la relazione tra psicologo dell’anima e “paziente” diventa invece relazione tra due persone “faccia a faccia”, che debbono volersi bene “con giudizio”, trattenendo l’empatia o antipatia nei limiti di un dialogo serrato, ma di “eros-logos”, affettivo e razionale (anche se a parlare a ruota libera è, e ha da essere, più che altro il paziente): un rapporto “transferale” che comunque coinvolge radicalmente anche lo psicoterapeuta. E infatti la Stroppa cita con favore La ricerca simbolica di E. C. Whitmont[9], laddove ricordava che “L’idea di un terapeuta non direttamente coinvolto, che studia il suo paziente come un caso clinico o un animale da laboratorio era qualcosa che Jung considerava impossibile e, qualora fosse possibile, indesiderabile. Riteneva che un incontro diretto e personale fosse assolutamente inevitabile ed essenziale (p. 153).”
Nella visione di Freud - forse persino nella versione che “mentalizza” anche tutto quello che in lui era stato o era parso biologico (come in Lacan) - c’è un fondo biologizzante insopprimibile. C’è, per il freudismo, una natura umana con dinamismi in tutti reiterati, da inverare nel modo in cui si sono manifestati nei singoli. In essi c’è qualcosa che talora si blocca all’infanzia (nel psiconevrotico), per lo più legata alla sfera della sessualità molto frustrata nella sua “normale” evoluzione (rimasta, nella personalità disturbata, troppo intrafamiliare rispetto alla famiglia d’origine, cioè troppo legata al triangolo padre-madre-figlio, e affini); si tratta di riattivare lo sviluppo di quel bambino in cui sempre incombono le gonne della mamma e i pantaloni del papà, superando il blocco all’infanzia: in modo che il singolo possa mantenersi al lavoro e farsi una famiglia.[10] Naturalmente semplifico il tutto, ma non di molto. Lì, nel freudismo, perciò non c’è niente nell’esperienza che prima non sia stato nella sensibilità, come diceva il vecchio empirismo. Per tale ragione un certo male di vivere è sempre nel conto, anche nei “sani”, e l’ideale è il riadattamento alla realtà. Ma riadattamento a cosa, dato il bel mondo che ci ritroviamo, e che già cent’anni fa non profumava di violette?
Nella visione freudiana lo stato fusionale, ad esempio quell’amore infinito che tutti cercano, per cui da due gli amanti o quelli che molto si amano diventano uno, pure nella necessaria differenziazione tra loro (uno-due), è in fondo una forma di infantilismo. La stessa religione sarebbe infantilismo, che sposta in vuoti cieli il desiderio di essere tutt’uno con la mamma del bambino piccolo, e sotto la protezione, e minaccia di un padre assolutizzato. Solo per non chiudere al grande Romain Rolland, Freud ammetteva come caso limite il “sentimento oceanico”, in cui l’Io è come coinvolto nell’infinito, ma subito minimizzandone il senso.[11]
Invece nella visione junghiana la fusionalità tra i due, amante-amato (o amata), o comunque “l’unificazione” tra loro, ma pure l’autorealizzazione che compone nell’interiorità il loro essere “opposti” che si attraggono, è possibile. Ma per essere possibile bisogna che l’interiorità, il “paese dell’anima”, non sia una “tabula rasa”, bensì il luogo di pulsioni a priori diverse, tra cui la più forte – oltre a sesso e potere – è proprio quella d’infinitizzazione, o pulsione religiosa, propria di un punto alfa-omega, in noi, che calamita l’Io (e pure l’Es animale) verso di sé (o Sé), cioè verso un quid che in sostanza è, per quanto difficile da trovare, la forza sintetizzatrice interiore: un che di “mana”, o sacro, o anche magico che c’è da sempre in noi quale punto alfa-omega della psiche (quale sia la natura ultima di questa realtà psicoide).
Questo si vedrebbe bene nella vera preistoria della psicoterapia analitica, junghiana: l’alchimia riletta in chiave psicologica, in Jung specialmente in Psicologia del transfert[12], testo qui ampiamente citato e chiarito. Il Re e la Regina, come opposti – in noi – della vasca alchemica, debbono fondersi tramite il “mercurio” dei filosofi o pietra filosofale nell’Uno (pp. 124-125 e seguenti), che è poi il Sé (“aurum philosophorum”, da piombo che era prima della coniunctio oppositorum in noi). Ma vale pure in analisi, su un piano simbolico. L’analista è una specie di psicopompo, che guida l’anima al dio “immanente”: all’Iside-Osiride interiore; o è un maieuta nel senso del Socrate platonico del Teeteto[13], se intendo bene. Il tema è quello della sintesi degli opposti interiore, che si chiama autorealizzazione del Sé nell’Io e dell’Io nel Sé, a misura di ciascuno o ciascuna idealmente rinascenti.
Per stabilire un tale essere nell’essere, amore vissuto - sempre problematico, ma in certo modo intimamente svelato - un punto chiave, che la Stroppa giustamente enfatizza molto, è la non-separazione, ma unione, tra sentimento e pensiero. In quel tener sempre insieme queste due dimensioni si coglie la chiave di volta. Su ciò è molto efficace: “Non sarà mai denunciata abbastanza la violenza occulta di uno sguardo giudicante, ostile, uno sguardo che separa scindendo la mente dal cuore; non saranno mai prese abbastanza le distanze dalla parola che pretende di essere conclusiva, di essere l’ultima, mettendo un punto a capo dove sarebbe opportuno mettere virgole, due punti, puntini e puntini e soprattutto punti di domanda, per edificare un al dialogo, un invito a riprendere il discorso proprio lì dove la parola si arresta dubbiosa di sé (p. 101).”
Tutta l’impostazione è strettamente legata sia alla dimensione letteraria che mistico-religiosa in senso quantomeno esperienziale. Infatti l’espressione narrativa, e poetica, di ogni forma di “amore impossibile”, talora anche con aperture all’”oltre”, nella grande letteratura spesso è assolutamente convincente, e se n’era già accorto, in psicoanalisi, non solo Jung, ma Freud. E infatti la Stroppa nota che “Sterminata è la lista di autori, ivi compresi Freud e Jung, i quali hanno compreso che l’arte offre un dono sublime: consente di ‘estetizzare il dolore, cioè – scriveva Edgar Morin[14] – di farlo avvertire nella sua intensità, pur facendo gioire della sua espressione.” E ciò senza alcuna fuga dalla realtà, ma con piena immersione in essa (p. 96).
Ma è soprattutto l’Oriente a dimostrare la possibilità della coniunctio oppositorum, e anzi della loro fusione, come Jung aveva chiarissimo, pur essendo fermissimo nel sostenere che l’Occidente non avrebbe potuto né dovuto scimmiottare le vie, pur profondissime e superiori, dell’Oriente, in specie dello yoga brahmanico e ancor più buddhista, ma arrivarvi per una strada meditativa sua (tanto che a me sembra che la pratica analitica di tipo auto-trasformativo, junghiana, sia già lo Yoga dell’Occidente). Ma in ogni caso il superamento degli opposti che lacerano la psiche implica un punto focale interiore superiore, talora detto da Jung “principio trascendente” (ma per dire “trascendentale”) dal 1928-29 detto Sé[15]. Su ciò la Stroppa, in un importante capitolo di fatto conclusivo intitolato significativamente Oriente e Occidente, cosmici amanti (pp. 203-260), scrive: “Comunque la si voglia intendere, occorre aprire il ‘terzo occhio’. Anche questo è un concetto denominato in vari modi, a seconda dell’angolatura teorica in cui è stato inserito, ma nella sua sostanza è l’occhio dell’anima: la percezione di quell’area di intersezione tra la soggettività e lo sfondo archetipico della psiche; è il corpo sottile dei filosofi dell’immaginazione, la terza area della psiche, il terzo anelito. È una funzione psichica sostanzialmente indicibile, ma che senza dubbio influisce fortemente sulle relazioni, soprattutto se esse hanno un carattere intimo e amoroso, ossia quel carattere irriverente nei confronti del piano di realtà che, nel bene e nel male, apre all’oltre(p. 237)”.
Proprio questo - fatto tutto il lavoro di autodialogo possibile e immaginabile in analisi - sembra dare l’ultima spinta alla mente per liberarsi: addirittura in quelle vicende sentimentali che per anni e anni, e spesso decenni, prendono alla gola. Vengono a un certo punto trascese, quasi d’un balzo, che arriva dopo lungo lavorio interiore, tramite un “supplemento d’anima”. Così “può” arrivare la “trasformazione”, che porta a compimento un processo di rinascita interiore (come qui è detto anche in riferimento a casi molto concreti, come quello qui chiamato di “Isotta terza”, specie a p. 183). Quando si giunge quasi alla radice, o al limite, anche nell’autodialogo, proprio lo svelamento del bello-buono al di là di noi stessi, salva. Su ciò io concordo totalmente, anche in base alla mia stessa esperienza.
[1] F. LIVORSI, Recensione a: C. STROPPA, Il doppio sguardo di Sophia. L’eterno femminino e il diavolo nella vita e nella letteratura, Moretti & Vitali, Bergamo, 2016, in “l’Ombra. Tracce e percorsi a partire da Jung”, n. 7, 2016, pp. 121-126; La casa dell’anima secondo Carla Stroppa, ”l’Ombra”, n. 12, 2019, pp. 205-215 (in riferimento a: c. STROPPA, “Sulla soglia di casa. Abitare tra sogno e realtà”, Moretti & Vitali, 2019); “Gli spostati” loro malgrado, “Il Ponte”, a. LXXVIII, marzo-aprile 2021, pp. 153-157 (in riferimento a: C. STROPPA, “Gli spostati. Vivere senza amore”, Moretti & Vitali, 2021).
[2] C. STROPPA, L’amore impossibile e le donne. Slanci, cadute e trasformazioni del desiderio, Moretti & Vitali, Bergamo, 2022, pagg. 265.
[3] Per un inquadramento storico-filosofico di questa problematica si veda: R. SAFRANSKI, Il Romanticismo, Longanesi, Milano, 2011.
[4]La novella fu scritta da L. Pirandello nel 1907 e pubblicata sul “Corriere della sera” nel 1912. Fa parte di: Novelle per un anno, Mondadori, Milano, 1934-1937.
[5] C. G. JUNG, La donna in Europa (1927), in “Opere”, Bollati Boringhieri, 1984, vol. 10, I, pp. 51-72. Ma ivi si veda pure: Il problema amoroso dello studente (1928), pp. 73-92.
[6] P. OVIDIO MARONE, Metamorfosi (tra 2 e 8 d.C.), con testo latino a fronte, a cura di P. Bernardini Marzolla, Con uno scritto di I. Calvino, Mondadori (“I Millenni”), 1979, Libro III, v, 339-510, pp. 108-117.
[7] J.-J. ROUSSEAU, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini (1754), in: “Scritti politici”, a cura di P. Alatri, UTET, Torino, 1970, pp. 267-370. Ma si vedano soprattutto pp. 366/367 (punto VII dell’Appendice).
[8] S. FREUD, L’interpretazione dei sogni (1899, ma 1900), in “Opere”, a cura di C. Musatti, Bollati Boringhieri, Torino, 1966, vol. 3; Introduzione alla psicoanalisi (1915/1917), ivi, 1978, vol. 8, pp. 205-207 per il porre l’Io dove c’era l’Es.
[9] Astrolabio-Ubaldini. Roma, 1982.
[10] Oltre alle op. cit. di Freud, si veda: J. LACAN, Scritti (1966), Einaudi, Torino, 1995.
[11] Per il confronto di Freud con Romain Rolland sul “sentimento oceanico”, opposto dallo scrittore alla tesi totalmente atea espressa da Freud in: L’avvenire di un’illusione (1927), in “Opere”, cit., vol. decimo. 192-1929, ivi, 1978, pp, 431-485, si veda il primo par. di Il disagio della civiltà (1929) di Freud, ivi, pp. 533-630, alle pp. 557-559.
[12] JUNG, Psicologia del transfert (1946), Il Saggiatore, Milano, 1961.
[13] PLATONE, Teeteto, in “Opere”, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Bari, 1966, pp, 259-357. Al cap. VI-ViI, pp. 275-279, compare il famoso confronto tra l’arte del filosofo e quella della levatrice.
[14] E. MORIN, Sull’estetica, Cortina, Milano, 2016.
[15] C. G. JUNG – R. Wilhelm, Il segreto del fiore d’oro. Un libro di vita cinese (1929 e poi 1938), Sagio introduttivo di A. romano, Bollati Boringhieri, Torino, 2001. L’antico testo taoista porta Jung, che su invito dell’amico sinologo Wilhelm aveva accettato di commentarlo, a porre al centro della sua psicologia analitica il Sé.
Recensione di Guido Brivio per "Psychiatry on-line"

Recensione di Stefano Cazzato su "Conquiste del lavoro"

Recensione di Paolo Lagazzi sulla "Gazzetta di Parma"

Recensione di Iolanda Stocchi per doppiozero.com
Recensione di Giorgio Agnisola su "Avvenire"

Recensione di Francesco Roat su "Leggere:tutti"
Pare che nel Terzo millennio molte donne, pur evolute, emancipate e disincantate siano ancora attratte da un’illusione d’amore, senz’altro impossibile, che le invischia in relazioni erotico-sentimentali avvilenti, frustranti e devianti. È quanto scrive Carla Stroppa ‒ psicoanalista junghiana e scrittrice ‒ nel suo in un ultimo saggio intorno agli amori malati, declinabili quasi sempre al femminile. Ciò non significa che gli uomini ne siano esclusi, ma secondo la testimonianza della nostra dottoressa dell’anima sono soprattutto le donne a portare in analisi i loro problemi/miraggi amorosi.
Sì, perché con illusioni vere e proprie qui abbiamo a che fare o forse, meglio, con bisogni primari inappagati, i quali aprono nel cuore e nella psiche vuoti che la lei di turno cerca di colmare mediante un luiidealizzato/idolatrato a seguito d’una “romantica esaltazione”; anche quando di erotismo passionale o quasi esclusivamente sessuale si tratta. Però i sogni di tali incontri fin troppo appaganti durano poco e presto tendono a trasformarsi in incubi o delusioni cocenti. E l’amaro risveglio può preludere a quella che Stroppa chiama poeticamente la morte dell’anima, cioè la disperazione/desertificazione affettiva ed uno sterile cinismo esistenziale. “Talvolta ‒ nota l’autrice ‒, visto l’aumento dei femminicidi e dei suicidi, la delusione del sogno d’amore può approdare alla follia, alla malattia e persino alla morte del corpo. Se si seguono da vicino certe storie intime si scopre che tale fenomeno è sin troppo reale”.
L’ipotesi che il saggio presenta è la seguente: dietro ai cosiddetti amori impossibili si cela ogni volta la brama di un eros perfetto, il sogno di una fusione totale e pienamente gratificante con l’amato/a e, non certo da ultimo, il bisogno di colmare un vuoto d’antica provenienza: quello spalancatosi a causa di un rapporto fallimentare sperimentato durante l’infanzia con le figure genitoriali. Da qui una fatale coazione a ripetere incontri amorosi idealizzati e destinati, presto o tardi, a pretendere troppo dai partner e, specularmente, ad ulteriori fallimenti emozionali.
“Ho incontrato donne e uomini che si innamorano sempre dello stesso tipo di partner”, precisa la nostra psicoanalista. Amante fascinoso ma irraggiungibile ‒ come d’altronde erano stati i genitori dei pazienti presi in cura ‒ e destinato/a a far soffrire il membro più fragile d’una coppia incline fatalmente a scoppiare. Così o ci si condanna a reiterare storie erotico-sentimentali sempre uguali o ci si mette in discussione davvero (anche grazie all’analisi), al fine di compiere: “il percorso di conoscenza che conduce a quel salto ontologico che apre la psiche ai valori trascendenti e la mente a una dimensione più ampia e inclusiva”.
Si tratta innanzitutto di comprendere che “la perfetta felicità amorosa è impossibile”. Di più: è letale. Basti solo pensare appunto al rischio fin troppo reale di suicidio da parte delle deluse in amore o all’omicidio, mediante il quale mariti o fidanzati incapaci di troncare relazioni laceranti puniscono le loro ex: ree solo d’averli lasciati. Ma in che modo disincantarsi, si/ci chiede condivisibilmente Stroppa, “senza abbandonare l’incanto come componente irrinunciabile del proprio sguardo sulla vita”? In che maniera ri-orientare la speranza di poter un giorno finalmente abitare la dimensione ineludibile dell’amore in modo non distruttivo o autodistruttivo. Una dimensione, va precisato, in cui pretese ed attese vanno accantonate a -priori, costituendo giusto queste ultime gli ostacoli maggiori per la nascita e la crescita di un amore autentico, che, sia detto per inciso, non è declinabile solo all’insegna dell’eros, ma anche della filìa (l’amicizia/affinità profonda) e infine dell’agape (l’amore fraterno, universale, oblativo), che è forse il grado eccelso di un’affettività caratterizzata dalla capacità di amare/offrire gratuitamente, senza contropartita alcuna.
Liberarsi dalle illusioni, si diceva, ma attenzione! Stroppa fa bene a ricordarci come Jung ebbe ad osservare che: “le illusioni sono una proiezione dei motivi dell’anima in cerca della propria ragione d’essere”, se è vero che il fondatore della psicologia analitica ritiene che le nevrosi nascano dal non riuscire a trovare un senso alla propria esistenza. Pertanto la soluzione ‒ se davvero ve n’è una ‒ non sta certo nell’eliminare la “tensione all’unità tra maschile e femminile”, quanto comprendere la sua “valenza simbolica”, nonché il suo “intrinseco finalismo trasformativo”.
Tenuto conto del fatto che ogni evoluzione psichica (e aggiungerei: spirituale, termine purtroppo mal visto in questi nostri tempi in cui vige l’egemonia di un’algida ottica tecnico-scientifica) è resa possibile da una visione/intuizione dell’oltre. Di un oltre che non spenga la scintilla immaginativa/creativa che tutti noi nel profondo celiamo, pur nella consapevolezza degli ineludibili dati di realtà. Così, secondo l’autrice, i patimenti d’amore interrogati a fondo ‒ e capiti sino a far emergere dalla sofferenza una spinta al recupero della parte sana di sé ‒ possono: “traghettare la coscienza su un piano più profondo e più alto, più inclusivo e aperto su una visione umana d’insieme”. Non posso che far mia la sfida che lancia Carla Stroppa: giungere ad un cervello intero, in cui non siano separate le istanze dell’emisfero destro (detto femminile) ‒ sensibile, analogico, creativo ‒ da quelle del sinistro (detto maschile) ‒ analitico, sequenziale, logico. E ciò in vista di un nuovo umanesimo in cui non prevalga solo una modalità di porsi – quella che potremmo cogliere all’insegna del logos (il discorso logico-razionale) ‒ ma abbia ampio spazio l’ambito del mythos (il discorso poetico-poietico). Non si tratta di negare il sogno dell’anima che è sotteso a quello dell’amore impossibile, ma di permetterle di sognare altrimenti/ulteriormente, onde favorire l’apertura verso un oltre di bontà, di bellezza, di amore possibile.
Si tratta, ancora, di favorire un sano incontro fra l’io e l’altro da sé; meglio: una serie di sani incontri. E qui lascio volentieri la parola chiarificatrice all’autrice: “L’incontro è quindi necessario, è la meta agognata, sia essa intesa come connessione fra i poli opposti della psiche, come Coniunctio oppositorum da realizzarsi nell’anima, o come realtà di confronto fra esseri umani differenti, uomo e donna, ma non solo. L’incontro è la matrice impressa ab origine, il paradigma di ogni declinazione di vita che diventa una questione clinica nella misura in cui il primo incontro, ossia il primo amore assoluto del bambino con l’ambiente affettivo della famiglia, è fallito, deformando lo sviluppo dell’Io cosciente e dunque la sua possibilità di relazionarsi all’altro da sé in modo sano”.
Per risolvere una crisi amorosa la soluzione allora non sarà sempre e solo la separazione (spesso tuttavia auspicabile e inevitabile) o il cambio di partner bensì un cambio di sguardoinedito su di sé, sugli altri, sul mondo e sul modo di relazionarsi. Ma un tale mutamento prospettico comporta prima un lungo lavoro di scavo negli inferi tenebrosi del proprio inconscio per poter poi tornare a riveder le stelle. Misurarsi da soli con la propria Ombra ‒ per usare un termine junghiano ‒ è comunque arduo, come il renderci conto delle proiezioni (idealizzanti o squalificanti) che scagliamo addosso al nostro lui o alla nostra lei. Fare ciò con l’ausilio dell’analista può essere di grande aiuto ‒ non sempre, nota con assoluta onestà intellettuale Carla Stroppa, specie se il terapeuta dell’anima fa un cattivo uso del transfert o non è in grado di gestire l’impegnativa regia del setting terapeutico ‒, tenendo conto del fatto che: “Non si danno sviluppo e integrazione dell’identità a prescindere dall’incontro”.
E quello analitico può aiutare il paziente a rielaborare il lutto del distacco d’amore che, quantunque doloroso, “può essere uno scomodo ma fondamentale scalino verso la trasformazione”, ossia verso una metamorfosi innanzitutto spirituale, grazie alla quale lo sguardo narcisistico riesca a cessare di rivolgersi soltanto alla propria immagine. Ciò che quindi dovrebbe mutare, secondo l’autrice, è alla fin fine l’orientamento del tendere amoroso verso una direzione salutare, grazie a cui: “l’amore impossibile per il partner immaginato si fa amore possibile per la vita”.
Carla Stroppa, L’amore impossibile e le donne. Slanci, cadute e trasformazioni del desiderio, Moretti&Vitali, 2022, pp. 265, euro 24,00
Eugenio Borgna su "L'amore impossibile e le donne"
Mia cara Carla, un libro bellissimo e originale che si confronta con un tema così complesso e così palpitante di vita come quello, lo dice il titolo, dell'amore impossibile e le donne. Sono sempre libri che nascono dalla esperienza viva che fai nelle tue psicoterapie, nelle tue riflessioni, nelle tue intuizioni, nelle tue associazioni vertiginose che fanno leggere questo tuo libro di una ricchezza ermeneutica e bibliografica indicibili. Sono proprio felice di questo nostro essere e sentirci in una sintonia che dà luce alle mie giornate e fa riemergere dalla memoria dell'animo gli incontri che abbiamo avuto a Novara. Un libro di una ampiezza tematica vertiginosa e di una cultura sconfinate che si intrecciano l'una all'altra lasciando tracce che non si cancellano e che inducono a rileggere quello che scrivi con un entusiasmo e con uno stupore del cuore che pochi libri destano, sul tema della psicoterapia nelle sue diverse scintillanti articolazioni che nascono e si nutrono delle tue letture e delle tue riflessioni. Un grande libro, uno di quei libri che nn si possono non rileggere e che ad ogni lettura fanno riscoprire immagini e pensieri profondi che tu porti alla luce. Con la nostalgia di sempre e con la riconoscenza che viene, come tu ben sai, dal mio cuore, ti saluto e a presto.
Eugenio
Maria Pia Barraco su L'amore impossibile e le donne
Non è morto l’amore possibile.
Non è morto l’amore impossibile.
Quale sia la natura umana, da cui discendono i modelli familiari, l’educazione, le relazioni sociali, la direzione della vita, a ciascuno è offerta la possibilità di dare un senso all’amore, all’incontro che ha sempre a che fare con la natura più intima della nostra essenza.
La sensibilità dell’autrice, dott.ssa Carla Stroppa, invita a leggere con lo sguardo poetico e con la percezione che incanta la vita nella sua realtà e negli abissi più profondi e reconditi del mistero segreto dell’amore.
Quali drammi si consumano negli amori tormentati dall’impossibilità di esser-ci “senza fine” ed oltre il trascendente?
Quali abusi psicologici, all’interno delle mura domestiche, consumano il cappio degli incontri segreti nelle stanze degli alberghi che tanto ricordano le camere, i motel e gli ambienti di Edward Hopper?!
Di cosa l’Anima è privata negli amori/amari ed impossibili? E quale percorso e’ necessario per risalire la china, a partire dalla perdita di un vuoto - assente ma ossessivo nello schema di un’ immagine, che non è desiderio dell’altro ma lo stampo di un’idea incompiuta, di un ideale mitico e irraggiungibile? Lo specchio, come ha detto Bachelard , scrive la psicoanalista Carla Stroppa, è l’ occasione per “ un’ immaginazione aperta”.
Negli amori impossibili si mettono in scena una molteplicità di maschere con i loro personaggi che recitano copie di copioni sul palcoscenico del teatro della vita. E quante immagini, sfumate e opache, riflettono gli specchi indefiniti dell’esistenza? E quale peso hanno le corazze che chiudono le porte e i portali degli addii del cuore?
Qual è l’incastro dei personaggi che prigionieri dell’amore impossibile si avvicinano e si allontanano, si sognano e si rimuovono, si confortano e si deludono, si uniscono e si separano? Insomma, amanti che rimangono incastrati nella dicotomia di un fuoco che distrugge ma non trasforma, di un ‘acqua che bagna ma non disseta, di un’aria che ghiaccia e congela.
Ed entrambi, amante/amato rimangono vittime e carnefici di se stessi , delle sovrastrutture costruite piano dopo piano, crisi dopo crisi , bisogno dopo bisogno, su una scala i cui pioli sono talmente fragili da non poterli ne’ scendere ne’ salire.
E qui vengono in soccorso le parole della dott.ssa Stroppa che, a pagina 97, invita a un percorso di introspezione “ senza delegare all’ideologia sociale […], all’ideologia bella e pronta che semplifica, banalizza, salta ogni dubbio, ogni interrogativo sull’oscurità delle ferite dell’anima individuale e sui propri limiti oggettivi”.
Si insinua, nella vita degli amanti, il dolore della quotidianità che trascina l’esistenza di se’ nella relazione con l’altro/a , come le chiome dei salici piangenti: cadenti e proiettati verso il basso. Ma è proprio quel ramo di salice che, come aiuto’ Cristo ad alzarsi sul Golgota , così aiuta gli amanti a sollevarsi dalle pene d’amore, dai tormenti delle sofferenze innervate di attese, di vuoti, di strade senza ponti, di vicoli ciechi, di aridi deserti.
Il libro è ben articolato nell’ alternanza dell’esperienza clinica e del pensiero analogico insieme alla letteratura e alla psicoanalisi. Consigliatissimo agli impossibili, ai fantasmi, alle ombre e a tutti coloro che si dichiarano “innamorati”.
Grazie, dott.ssa Carla Stroppa.
Isabella Vincentini su "L'amore impossibile e le donne"
È un libro che CURA da cui si esce rigenerati e illuminati un “faro che orienta la ricerca e il cammino”, “il risveglio su un piano di superiore consapevolezza e visione” (p.22). È un libro numinoso che ha il potere di schiudere al lettore il “terzo occhio” verso l’oltre del possibile. Se ne esce trasformati, rigenerati, rafforzati, più leggeri e ottimisti. È un libro Salutare in quanto riesce a ricucire lo scarto tra illusione e realtà contemporaneamente su due livelli: dal lato del logos e dal lato della psyche.
Coinvolge e appassiona il logos del lettore per la vasta riformulazione di considerazioni, idee e concetti, per la disamina di relazioni, comportamenti, storie e archetipi e, contemporaneamente, a insaputa di chi legge, ci si accorge che Psiche ha spento la lampada perché è già avvenuta pagina dopo pagina, la Coniutio oppositorum tra logos e psyche.
Mi sono interrogata su come fosse potuto accadere, ed allora ho sentito come se un rarissimo, caldo e generoso sentimento di UMANITÀ fuoriuscisse da ogni rigo, con quanta sensibilità, delicatezza, forza e comprensione indicasse nei limiti della physis, dell’umana natura, il fuoco sacro della vita.
Sì, oltre al valore culturale del libro, l’effetto salutare era dovuto alla Sua personale calda umanità, autentica, vera, non solo intellettuale e colta con cui aveva vergato ogni rigo illustrando, spiegando, raccontando e…. magicamente curando le disillusioni, i traumi e le sofferenze che fanno parte della vita.
Non si tratta solo di un testo chiave per comprendere (con il logos) le problematiche di sempre e del nostro tempo, di un libro articolato e ricco di idee, concetti, riferimenti mitici, psicologici e poetici, ma di un libro a due facce come un’unica moneta che da un lato illustra e dall’altro consola, aiuta.
Se ne esce trasformati per questo forte sentimento di una umanità così raro e sensibile che riscalda ogni pagina, che ascoltando con solidarietà comprende e mostra il senso della sofferenza: il “sacro limite” della natura, la physis (La sacralità del limite).
È questa sacralità dei limiti inerenti alla natura umana che dischiude la rêverie, e l’anima risanata dallo scarto tra illusione e realtà, potrà, dopo averlo letto, ancora credere nelle insperate possibilità dell’amore impossibile.
“La luce oltre la porta”, ognuno con il proprio percorso esistenziale e non più con timore e smarrimento, ma con l’ardire di uno stupito e ritrovato senso di fiducia.
Complimenti e grazie per ciò che ci ha donato.
Davide D'Alessandro, "Huffington Post", ottobre 2022 "Potenza dell'amore impossibile"
di Davide D'Alessandro, "Huffington Post", ottobre 2022
Carla Stroppa, analista junghiana, attraverso struggenti storie cliniche, racconta la passione femminile, il dolore che ne deriva, le sofferenze dei figli, le cadute e le capacità trasformative del desiderio
Dico a Carla Stroppa che le sue pagine su Isabel sono uno splendore. Mi risponde che Isabel è una delle storie più struggenti da lei vissuta come analista e il fatto che io l’abbia colto le dà una particolare emozione. In realtà, “L’amore impossibile e le donne. Slanci, cadute e trasformazioni del desiderio”, edito da Moretti&Vitali, è tutta un’emozione e se nelle duecentosessanta pagine svettano quelle su Isabel è perché è una donna che con i suoi sospiri d’amore tutte le racchiude.
Scrive l’autrice: “Parlare d’amore oggi è un rischio continuo, una provocazione del pensiero e del sentimento. È come entrare in una terra minata nella quale un passo falso può innescare l’esplosione di malintesi, luoghi comuni e reazioni emotive. Tuttavia noi analisti siamo sempre esposti a questi rischi, giacché la quasi totalità di richieste di aiuto nasce da problemi sentimentali. Sono soprattutto le donne a portare in analisi l’argomento d’amore, sono soprattutto loro a definirsi – ancora e malgrado l’emancipazione – su base relazionale, ma ho notato la stessa tendenza anche fra gli omosessuali. Le dinamiche di fondo sono le medesime”.
Sono le donne, più degli uomini, a sentire il …sentimento, a calarsi nei labirinti oscuri della relazione, a contrarre l’infezione, a lavorarla, anche sdraiate sul lettino, a macerarsi per un dolore che non muore, per un non detto che continua a dirsi, per un’ansia a volte nascosta a volte palese, come se il patimento fosse un destino ineluttabile. Sono le donne, sempre le donne, a saperne di più, dell’amore e della morte, di come si ama e di come si muore, di come si rinasce se si riesce a rinascere.
Stroppa è donna e delle donne intuisce la profondità della parola, dello sguardo, del silenzio, ciò che gli occhi intendono rappresentare e ciò che i sogni intendono svelare, poiché l’inconscio è un motore sempre attivo, fonte inesauribile di materiali a cui attingere per dare senso a ciò che un senso sembra non avere. Dall’inconscio giunge anche il lamento filiale, il lamento dei bambini, povere vittime di amori finiti o lacerati. C’è una voce quasi unanime nel ribadire che la separazione tra genitori in lite è l’unica soluzione auspicabile per i figli. Una voce che tenta di lavare la coscienza, senza alcun successo. Spiega Stroppa: “A fare le spese dei conflitti tra maschile e femminile sono i figli che crescono strattonati di qua e di là, confusi e privi della possibilità di interiorizzare un modello di integrità fra i poli della psiche. I figli sono il futuro, pertanto mi chiedo per quale motivo il pensiero medio collettivo si occupi ancora così poco dei loro diritti. Abbiamo un bel dire noi psicoanalisti in merito all’importanza dei primi mesi e dei primi anni di vita per forgiare la salute o la malattia mentale! I bambini non capiscono che cosa stia succedendo ai grandi e sviluppano come naturale conseguenza un sentimento di disorientamento, sfiducia in sé stessi e nel mondo. Si sbriciola il senso di identità, anzi non si forma proprio, e i più svariati e raccapriccianti sintomi psicosomatici ammorbano la loro vita”.
Sì, è anche morbo, amore, il morbo che ti assale, che dilaga, che investe la coppia e chi ne fa le spese. Le pene d’amore, dell’amore possibile e impossibile, sono indagate nel tempo e fuori dal tempo. Stroppa ci ha abituati a straordinarie immersioni nella letteratura, nella poesia, nella cultura alta e raffinata che sull’amore ha visto e previsto, ha fornito consigli che non sono stati mai ascoltati.
Bisogna perdersi in questo libro, il suo miglior libro, perché ogni parola è la nostra parola, ogni immagine è la nostra immagine, ogni mito è il nostro mito. Isotta è ancora tra noi, Paolo e Francesca ci camminano accanto, respirano con noi. Se Thomas S. Eliot diceva che i nostri giorni d’amore sono così pochi, dunque facciamo almeno che siano divini, è il sogno inguaribile che abbiamo nell’anima a muoverci, a farci provare ancora, anche quando sappiamo che il fallimento è inevitabile, che lo scacco è dietro l’angolo.
Stroppa chiude con i versi di Achmatova: “Non berremo dallo stesso bicchiere/ L’acqua o il dolce vino,/ Al mattino non ci daremo baci,/ E a sera non guarderemo alla finestra./ Tu il sole respiri, io la luna/ Ma siamo vivi dello stesso amore”.
Dello stesso amore che ci consuma, dello stesso amore che ci tiene in vita, dello stesso amore che permette all’autrice di scrivere all’interno di un flusso che sembra possederla. Potenza dell’amore!