Carla Stroppa- Da Jung a Breton e ritorno – di Arturo Schwarz

Fascinante, erudito ed iniziatico questo ultimo libro di Carla Stroppa – Il satiro e la luna blu. Nel cuore visionario dell’immaginazione[1]. L’opera, nella Prima Parte, prende le mosse da un viaggio che ripercorre le tappe di un analisi di Alma – una paziente che diventa un esempio paradigmatico del tipo immaginativo – per assumere le dimensioni  (nella Parte Seconda del volume) di una serie di riflessioni sul mitologema di Amor e Psiche – “la favola più bella del mondo”. Così il mito fa da filigrana ad un indagine dove si sviluppa, al meglio, la dote intuitiva del femminile.

A proposito dell’aspetto intuitivo della conoscenza – sul quale anche la Stroppa si sofferma – giova ricordare che sia Spinoza sia Bergson, consideravano la scientia intuitiva come la più alta forma di conoscenza. Ad esempio, per Baruch Spinoza, “Lo sforzo supremo, la suprema virtù della mente è intendere le cose col terzo genere di  conoscenza” (Etica, V:27) – ‘terzo genere’ che per l’ebreo olandese era l’intelligenza intuitiva. Bergson, a sua volta, preferiva l’intuizione – che per lui era una conoscenza immediata e irrazionale – all’intelligenza analitica e concettuale dato che l’intuizione era, secondo il filosofo francese, “l’istinto divenuto disinteressato” – istinto  che conduce “all’interno della vita”.[2] Dal canto suo, Jung pensava che l’intuizione era, “una sorta di divinazione, una specie di facoltà meravigliosa”[3], e la riteneva, “un processo creativo e attivo”, capace di fornire “immagini o idee di relazione e situazioni”, precisando che, “queste immagini, quando l’intuizione sia preponderante, hanno il valore di conoscenze precise”[4].

Potremmo definire, lampo intuitivo o scatto inventivo il logos – frutto di un’insondabile intuizione – che, nell’artista come nello scienziato,  nasce da una subitanea illuminazione. L’importanza dell’intuizione nell’avviare il processo creativo fu riconosciuta anche  dal premio Nobel per la fisica, Max Planck. Questi dichiarò, infatti, che la scienza progrediva verso “uno scopo che l’intuizione poetica può percepire ma che l’intelletto non potrà mai capire completamente”[5].

In proposito, è la stessa nostra saggista che dichiara di dedicare questo suo libro liberatorio – per dirlo con le stesse sue parole –  “alle passioni che prendono vita dalla zona lunare della personalità, quella inconscia, quella crepuscolare dei tropismi profondi, delle pulsioni istintive. È dedicato a quella parte ancora primitiva della psiche che sonnecchia nell’ombra, che vive nei sogni e nell’immaginario e che modella la sensibilità profonda con le sue mutevoli fasi di pienezza e di sparizione, ombra e luce, pulsione carnale e anelito spirituale. È dedicato alla luna che partorisce il nuovo quando ritrova il suo Sole e da esso è fecondata: questo è il principio stesso della creatività che non può darsi che attraverso una coniunctio fra maschile e femminile che si dispiegano in uno spettro ampio e profondo di simboli e significati, dall’inferiore al superiore, passando però sempre attraverso la dimensione orizzontale della vita, cioè a dire attraverso il confronto con la quotidianità e la storia”.[6]

Per quanto concerne la conoscenza sapienziale che appartiene al femminile Carla Stroppa sintetizza così i tre assunti fondamentali: in primo luogo questa modalità della conoscenza è incline “all’apertura ai differenti livelli della psiche”; inoltre assume “l’ambiguità come valore, dove per ambiguità si intende capacità di rappresentarsi contemporaneamente gli aspetti di bene e di male dei fenomeni; e infine accetta di sostare dentro un ‘codice sospeso’, cioè di sospendere il giudizio di fronte al manifestarsi dei fenomeni stessi per consentirsi un’esplorazione curiosa e aperta all’accadere nel suo vivo manifestarsi”[7].

“Si vede bene” continua la nostra analista, “che questi principi, lungi dal condurre il pensiero verso la linearità causa-effetto, accettano il rischio dell’ignoto e si aprono a un metodo orientato verso la molteplicità che non può prescindere da balzi intuitivi [il corsivo è mio]: i soli in grado di collegare in modo visionario l’evidenza del sensibile (la valutazione del qui e ora) con la visione appunto di un senso nascosto – esoterico e atemporale – della fenomenologia psicologica”.[8]

A mia volta vorrei segnalare come il pensiero della Stroppa incontri spesso quello del Surrealismo anche se – per sua stessa ammissione, ella non ha mai frequentato gli scritti dei teorici di questo movimento che volle, anzitutto, proporre una nuova filosofia di vita. In proposito mi si lasci aprire una breve parentesi. Fedeli all’esigenza espressa da Marx: “i filosofi sinora hanno interpretato il mondo, si tratta ora di trasformarlo”, e alla parola d’ordine di Rimbaud: “cambiare la vita”, la riflessione surrealista trova la propria ragione di essere nel tentativo di attuare queste due premesse ideali.

Già nel primo manifesto, Breton precisava che il surrealismo ebbe l’ambizione di essere innanzitutto strumento di conoscenza e che si proponeva di raggiungere una migliore comprensione dell’essere umano – premessa inderogabile all’azione – attraverso l’esplorazione del mondo sommerso rivelata dalla psicanalisi freudiana (e più tardi anche junghiana). Egli scriveva: “Il surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d’associazione finora trascurate; sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi a essi nella risoluzione dei principali problemi della vita”[9].

Pochi anni dopo, nel 1935, ribadisce: “Tutto lo sforzo tecnico del surrealismo, dalle origini fino a oggi, è consistito nel moltiplicare le vie di penetrazione negli strati più profondi del mentale. Dico che bisogna essere veggenti, farsi veggenti: per noi si è trattato unicamente di scoprire i mezzi per mettere in esecuzione questa parola d’ordine di Rimbaud”[10]. Nella prospettiva surrealista la conoscenza è un processo che si identifica con i propri scopi: libertà e amore. Per realizzare la pulsione irresistibile verso la libertà bisogna conoscere, e per conoscere bisogna amare. La conoscenza, la libertà e l’amore si concepiscono dunque soltanto in rapporto l’uno con l’altro. Ciascuno di questi tre termini non è che il lato di un triangolo che non potrebbe esistere senza gli altri due. E come l’amore è, a un tempo, strumento di conoscenza e di libertà, l’arte (anche poetica) è amore e illuminazione. Un triangolo – i cui lati sono amore, conoscenza, libertà – che l’intervento dell’arte trasforma in quadrato, allegoria della pietra filosofale, e della donna, pietra angolare della vita.

Per Goethe, “l’Eterno Femminile ci trae verso l’Alto”[11]. Possiamo riconoscere “l’eterno femminile” nell’anima junghiana;e quello che Goethe definisce “l’Alto” potrebbe riferirsi  all’esito del processo che Jung aveva designato con il termine individuazione, da in-dividuus (non diviso) e quindi intero: nella totalità dell’essere che si riconosce in entrambi i poli della propria psiche e attua così la propria fondamentale pulsione unitaria. Ci rendiamo conto di quanto sia anticipatrice e eversiva l’affermazione goethiana quando la ricollochiamo nel suo contesto storico – doveva scorrere quasi mezzo secolo prima che il Romanticismo tedesco non  ricollocasse la Donna sul piedestallo che le appartiene. Heinrich Heine (1797-1856), Friedrich  Hölderlin (1770-1843), Novalis (1772-1881) – per citare solo tre tra i maggiori poeti di questo movimento ottocentesco. Mentre un altro secolo separa Freud e Jung dal poeta di Francoforte sul Meno.

Tanto più rivoluzionaria fu l’affermazione di Goethe se ricordiamo che,  nel Settecento, erano più vivi che mai gli echi dei vari concili ecclesiastici – tra cui quello di Macon (585 dell’era volgare) dove ci si chiedeva se “la donna ha un anima ? Rispondendo al quesito negativamente. Così come era in piena attività  l’Inquisizione stabilita del Concilio di Verona (1184) e sopravvissuta oltre al 1908, nello Stato Vaticano, quando prese il nome di “Congregazione della sacra, romana ed universale inquisizione del Santo Offizio” – le cui vittime principali, oltre ai cosi detti “eretici” furono anche moltissime donne  – in maggioranza esperte erboriste farmacologhe o vistosamente belle – bollate come “strumenti del diavolo” e finite sul rogo.

Per tornare alla polarità della psiche umana, Carla Stroppa,  precisa che l’essenza genuina del sapere femminile sta “nel suo essere altro da quello maschile” chiarendo che questo sapere è “più intuitivo e visionario,  [in quanto è] intrinsecamente portato alle associazioni simboliche e alla rappresentazione”[12]. Poche pagine dopo ella sottolinea il suo intento di  “lumeggiare un poco il rapporto mai esplicitato che vi è tra un pensiero solare-maschile e una conoscenza implicita femminile e lunare” e questo, “non tanto per sostenere il primato di un principio sull’altro, quanto per suggerire che la visione del nuovo, che sia vivo e creativo beninteso, si dà solamente nel rapporto fra il lato maschile e quello femminile della mente, Amor e Psiche, sempre”.[13] A proposito del “rapporto mai esplicitato”, mi preme ricordare che anche per Breton era indispensabile che “si riveda da capo in fondo, senza traccia di ipocrisia e in un modo che non può più avere niente di dilatorio, il problema dei rapporti tra l’uomo e la donna”[14]

Ripetiamolo, la conoscenza è la condizione preliminare della libertà. Per questo Breton preciserà: “La ricerca appassionata della libertà è stato l’impulso continuo che ha mosso l’azione surrealista[15]“. Il surrealismo ha voluto essere, fin dall’inizio, “liberazione integrale della poesia e, attraverso essa, della vita”[16]. Di fatto la “liberazione della vita” può solo realizzarsi grazie alla conoscenza del Sé. Il surrealismo cerca di illuminare la via della liberazione totale. La conoscenza, la coscienza del Sé, è rivoluzionaria. Breton lo ricorda: “Più coscienza di ciò che è sociale sempre, ma anche più coscienza di ciò che è psicologico” [poiché] “ogni errore nell’interpretazione dell’uomo comporta un errore nell’interpretazione dell’universo; esso è, pertanto, un ostacolo alla sua trasformazione[17]“. Il surrealista è un sognatore che sa quello che vuole: trasformare il mondo per cambiare la vita. Autentico eroe delfico, egli vuol conoscere se stesso per trasformare il mondo.

Je est un autre[18] (Io sono un altro), l’aforisma fulminante di Rimbaud è un’affermazione che anticipa l’essenza stessa dell’indagine psicanalitica della psiche; così come  l’esigenza della conoscenza del Sé, lo gnothi seauton – quella massima incisa sul frontone del tempio di Apollo a Delphi – è la premessa, come ben sappiamo, non solo delle moderne tecniche terapeutiche ma, innanzi tutto, è anche il preambolo per il necessario sviluppo della propria personalità  Infatti, Gli amanti che si ritrovano e si uniscono nella stretta carnale e spirituale realizzano il mito dell’androgino, e sono le due componenti di una “dualità non duale”; sono, per riprendere le parole di Péret – il massimo poeta e teorico del Surrealismo, con André Breton – “un essere doppio, perfetto, singolo, che forma un’unità di felicità umana[19].” Se l’amore è uno strumento iniziatico per eccellenza è perché l’amore conduce ad identificarsi con l’essere amato e quindi a scoprire in sé l’altro polo che lo abita. Alain Badiou, a sua volta, ribadiva questo concetto affermando che l’amore è “una costruzione di verità”[20], aggiungendo che “l’amore non è soltanto l’incontro e i rapporti chiusi tra due individui, è una costruzione, una vita che si fa, non più dal punto di vista dell’Uno, ma dal punto di vista del Due”.[21]

A proposito dell’esigenza di conoscere il proprio Sé, come ingiunge il socratico gnothi seauton, Carla Stroppa si pone l’interrogativo “Come può amare l’altro da sé chi di sé non ha una vera esperienza”?[22] Di fatti, la risposta sta, come ella ribadisce, nel “percepire la propria esistenza viva e corporea nell’abbraccio vivo e corporeo di un altro che ama di quell’ amore che vuole liberare, non impossessarsi del suo ‘oggetto’”[23]. Ecco, mi pare che qui la parola chiave sia liberare: perché solo colui che conosce se stesso può essere veramente libero.

A questo riguardo, Eliphas Levi notava, nel secolo scorso: “L’uomo è colui che deve amare per vivere, e che non può amare senza essere libero”[24]. Questo stesso pensiero spinge Péret a dichiarare che l’amore sublime è, in primo luogo, “una rivolta dell’individuo contro la religione e la società, che si spalleggiano a vicenda”[25]. Ogni lotta per la realizzazione dell’amore è così al tempo stesso la lotta per una società libertaria come conferma lo stesso Péret “L’amore sublime, centro vivente delle rivendicazioni dei poeti romantici, riassume tutte le altre rivendicazioni, comprese quelle sociali”[26].

Allo stesso modo Charles Fourier aveva puntualizzato il rapporto speculare fra amore e libertà e osservava, muovendosi dal generale al particolare, che il progresso sociale è in funzione dell’emancipazione della donna. “I progressi sociali e i cambiamenti d’epoca si operano secondo i progressi delle donne verso la libertà; e le decadenze di ordine sociale si operano in ragione della diminuzione della libertà delle donne […] L’estensione dei privilegi delle donne è il principio generale di ogni progresso sociale”[27]. Anche per Fourier la felicità, in una società che non può essere che libertaria, si fonda, in ultima istanza, sul ruolo che si destinerà all’amore: comprenderne la natura significa essere già sulla strada che conduce alla realizzazione dell’armonia individuale e sociale. “Un errore commesso nella teoria d’amore basta da solo a rovesciare tutta l’impalcatura della politica e della morale civilizzata”[28].

Riguardo sia la natura dell’amore – che nell’accezione reale del termine non può che essere anche carnalesia il suo ruolo iniziatico, non è sorprendente che la visione  della Stroppa come quella di Breton, delineino, gli stessi valori archetipali. Scrive la nostra analista, a proposito della valenza semantica della parola amore, “solo nell’amore, questa parola inflazionata o banalizzata che ormai solo a dirla sembra di evocare un’eresia da buttare al rogo, ebbene solo così si sperimenta l’oltrepassamento di un narcisismo sterile e l’accesso a quell’assoluto cui l’anima non può affatto rinunciare”[29]. Di rimando, e non molto diversamente, André Breton afferma, “Questa parola amore,a cui gli spiriti di cattivo gusto si sono ingegnati a far subire tutte le generalizzazioni e tutte le corruzioni possibili (amore filiale, amore divino, amore della patria ecc.), viene da noi qui ricondotta, è inutile dirlo, al suo senso stretto, e minaccioso, di attaccamento totale a un essere umano, fondato sull’imperioso riconoscimento della verità ‘in un’anima e in un corpo’ che sono l’anima e il corpo di questo essere”.[30]

Ritroviamo queste ultime parole dell’enunciato bretoniano  – che  riguarda, appunto, l’aspetto olistico dell’amore – nell’affermazione della Stroppa: “l’amore nella sua accezione più profonda e ampia [è] fatto di carne e spirito uniti.”[31] Quando Breton scrive: “È perfettamente certo che l’amore carnale fa tutt’uno con l’amore spirituale”[32], il suo pensiero coincide anche con quello di Eliphas Levi, che rifiutava l’antinomia corpo-spirito: “Spirituale e corporale sono aggettivi, esprimono appena il grado di tenuità o densità della sostanza”[33]. Non è difficile trovare nelle parole di Breton un’eco di questo ragionamento di Fourier: “La natura vuole l’equilibrio dei due elementi di amore: il piacere sensuale e il piacere sentimentale. È servire male la causa del sentimento, degradare il materiale, con l’atteggiamento chiamato comunemente cinismo, concupiscenza o indecenza; e dico anche che l’amore puro, chiamato sentimento, altro non è che visione o gioco di abilità presso coloro dai quali non è soddisfatto il materiale, e che si può elevare il sentimento al grado trascendente solo attraverso la piena soddisfazione del materiale”[34].

Se l’amore fisico e l’amore spirituale sono i due aspetti complementari di uno stesso fenomeno, l’amore, folle o sublime, è collocato sotto il segno delle affinità elettive, e può investire solo un unico essere. La donna è, di conseguenza, il centro magnetico della vita, dell’etica, della poetica e dell’estetica del surrealismo – come lo è sotto certi aspetti, in questo bel libro della Stroppa. Lo è nella misura in cui questi termini –  vita, etica, poetica e estetica – ne costituiscono uno solo. Breton dirà: “Nel surrealismo, la donna sarà stata amata e celebrata come la grande promessa, quella che continua dopo essere stata mantenuta. Il segno di elezione che è posto su di lei e che vale per uno solo (sta a ciascuno scoprirlo) basta a fare giustizia del preteso dualismo dell’anima e della carne […] L’attrazione reciproca deve essere abbastanza forte da realizzare, per complementarità assoluta, l’unità integrale, insieme organica e psichica[35].

Benjamin Péret, a sua volta – sul tema della nostra androginia psichica – scriverà, che l’amore è lo strumento principe che può renderci consapevole della nostra struttura mentale bi-sessuale, chiarendo, “a ogni uomo non può che corrispondere una sola donna che diventa, secondo l’espressione comune, la sua ‘metà’; ciò suppone che essi, riuniti, formino un tutto […] Il colpo di fulmine, per quanto popolare sia diventata questa espressione − oggi in declino −, esprime con precisione la natura accecante del fenomeno di riconoscimento dell’essere desiderato, la cui complementarità è stata improvvisamente intravista”[36].

Sempre sullo stessa tema, Carla Stroppa riafferma che “l’individuo è un essere intrinsecamente doppio, maschile e femminile, dialettico, lo è dentro se stesso, ma per averne coscienza deve cercare lo speculum imaginationis che l’altro sesso in quanto alterità può fornirgli. Il rispecchiamento fra identità e alterità si forgia nel cuore visionario dell’umana ricerca che Psiche fa del suo Eros. Allora il desiderio sessuale rappresentato dal satiro si colloca in cielo, dove un‘aureola di immaginazione e di trascendenza lo contengono: assieme desiderio e immaginazione formano il mandala della luna.”[37]

Ritroviamo il ruolo del “desiderio sessuale” come di questo “essere doppio” – il Rebis (res-bis: la cosa doppia)   così è chiamato nei testi della tradizione alchemica – anche nell’esigenza espressa da Breton, “Si tratta […] della necessità di ricostituzione  innanzi tutto dell’Androgino primordiale di cui ci parlano tutte le tradizioni, della sua incarnazione, sovranamente desiderabile e tangibile, attraverso di noi. In tale prospettiva, era presumibile che il desiderio sessuale, fino a quel momento più o meno represso nella coscienza confusa o nella cattiva coscienza dai tabù, dovesse apparire, in ultima analisi, il conturbante, vertiginoso e inestimabile ‘al di qua’ sul cui il prolungamento illimitato il sogno dell’uomo ha costruito tutti gli ‘al di là’ ”[38].

In entrambi questi ultimi due passi citati non è forse lo stesso “desiderio sessuale”che gioca un ruolo fondamentale ? E lo speculum imaginationis non è forse un altro modo di caratterizzare l’immaginazione così cara a Breton da fargli dire, “Cara immaginazione, quello che più amo in tè è che non perdoni,”[39]

A proposito dell’amore romantico – per il quale Breton preferisce il termine “amore folle” – Carla Stroppa chiarisce “Solo l’intensità dell’amore romantico restituisce, per un breve attimo certo, quell’incanto dei sensi e dello spirito, oblio di sé, sprigionamento dell’immaginario che c’era prima di ogni consapevolezza del male, del dolore e del limite umano.”[40] Di rimando Breton scriverà che solo l’amore può condurre alla “realizzazione ideale delle unità della contraddizione [e restituirà] all’uomo tutta la potenza ch’egli è stato capace di caricare sul nome dio”[41].  Insistendo, altrove, “È nell’amore umano che risiede la forza di rigenerazione del mondo”[42]. In proposito segnaliamo che l’importanza assunta dall’amore nel processo creativo è ripetutamente sottolineata nella letteratura esoterica, e in particolare in quella kabbalistica e alchemica. Ad esempio, Jung ricorda «Gli alchimisti pensavano che l’Opus esigesse non solo il lavoro di laboratorio, la lettura dei libri, la meditazione, la pazienza, ma anche l’amore»[43]. In sostanza, mentre l’amore è la dimensione emotiva e conoscitiva dell’istinto sessuale, l’erotismo ne è la dimensione estetica e quindi anche artistica.

Breton non ha mai smesso di riaffermare, in termini che sembrano direttamente ispirati dalla tradizione esoterica materialista, i quattro punti cardinali dell’orientamento surrealista in materia di amore: i ruoli della donna, dell’amore, del desiderio e dell’affinità elettiva. Al primo posto troviamo l’esaltazione dell’eterno femminino: la donna è la grande iniziatrice, l’innamorata. È lei a portare la salvezza, cioè la luce della conoscenza ctonia e la felicità della passione ricambiata.

Per Breton la donna amata è “la pietra angolare del mondo materiale[44]; essa divide con la divinità la virtù della “giovinezza eterna”[45], perché “il tempo non ha presa su di lei[46]. E se Breton ritiene che un giorno si affermerà trionfalmente “l’idea della salvezza terrestre attraverso la donna[47], è proprio perché “l’amore rischiara il mondo”[48], “l’amore e le donne sono la soluzione più chiara di tutti gli enigmi”[49]. Solo con le risorse dell’amore, della poesia e dell’arte “il pensiero umano riuscirà a riprendere il largo”[50].

L’amore, l’arte e la poesia sono strumenti di conoscenza privilegiati, devono essere perseguiti per se stessi, senza un secondo fine utilitario. Breton dice che non ha cercato la felicità nell’amore “ma l’amore”[51], ed esclama: “ho anche conosciuto la pura luce: l’amore dell’amore”[52]. Scriverà ancora: “Il mondo intero si rischiarerà di nuovo perché ci amiamo, perché una catena di illuminazioni passa attraverso di noi”[53].

L’amore-illuminazione. Questo concetto, che corre come un filo rosso lungo tutti gli scritti surrealisti (come nella letteratura alchemica e nel testo della Stroppa), è sovversivo al massimo grado. Esso spiega l’interdetto sull’amore che vige, non oggi soltanto, in tutte le società totalitarie. “Ogni nostra teoria deve occuparsi della restaurazione dell’amore, la sola passione bandita dai civilizzati”. Queste parole non sono state scritte da un surrealista, ma, all’inizio del secolo scorso, da Charles Fourier[54].

Ricordiamolo, è l’amore che permette di riconoscere nella persona amata l’altro versante del proprio essere. L’amore è identificazione, unione – come insegna anche la gematria kabbalistica quando si accorge che le lettere ebraiche che compongono la parola amore (ahavah) e unità (ehad) hanno lo stesso valore numerico (13), segnalando così che amore significa unità la quale, a sua volta, porta a scoprire, come già ricordato, il sesso opposto che alberghiamo. La luce dell’amore fa così prendere coscienza della propria doppia natura, femminile e maschile al tempo stesso e, in tal modo attua la pulsione psicologica più profonda dell’individuo, quella che lo spinge a volere ricostituire l’unità della sua personalità divisa. Processo questo che Jung ha chiamato, come segnalato supra, «individuazione» dove il termine significa appunto non-diviso (in-dividuus) secondo la sua etimologia.

Infatti, anche per Jung, ogni uomo porta in sé un’immagine dell’archetipo femminile che è una componente attiva della sua psiche: l’anima; così come ogni donna porta in sé un’immagine dell’archetipo maschile, componente attiva della sua psiche: l’animus. Concezione questa già anticipata dalla letteratura talmudica, kabbalistica e alchemica. Così il Talmud precisa che Adamo ed Eva erano originariamente una sola unità e che furono divisi affinché la procreazione potesse avvenire (Berakhot, 61a). Analogamente un Midrash precisa: «Quando il Santo, benedetto Egli sia, creò il primo uomo lo creò androgino» (Genesis Rabbah, R. Jeremiah ben Eleazar, 8: 1). Lo Zohar, monumento della letteratura kabbalista, anticipa ancora più precisamente il pensiero Junghiano spiegando che la bisessualità non è fisica ma spirituale (Zohar iii, 43 B).

Di rimando il pensiero alchemico enuncia: «Così come l’ombra segue continuamente il corpo di colui che cammina al sole, così il nostro Adamo ermafrodita, benché abbia le sembianze di un maschio, sempre porta con sé Eva, o sua moglie, nascosta nel suo corpo»[55]. Analogamente Gerhard Dorn, il celebre alchimista del Cinquecento, ricorda che per i primi alchimisti «La pietra era una cosa viva che chiamavano anche il loro Adamo; egli portava la sua Eva invisibile nascosta nel suo corpo»[56].

Assieme all’amore anche la poesia – in ultima analisi ogni poesia è una poesia d’amore ­– è uno strumento iniziatico: sia per chi la scrive sia per chi la legge (quando il lettore è persona avvertita). In proposito, ascoltiamo ancora, Carla Stroppa che si chiede, “non è forse vero che il pensiero poetante pesca nelle profondità dell’ombra e del dolore e nella frammentazione interiore e attraverso un sistema di traslazioni e di metafore, di sottigliezze e di astuzie fa risuonare la Voce dell’Unico ?”.[57] Altrove osserva che, “per vedere il fondo mitico della mente e dei comportamenti” sono “sempre i poeti, gli scrittori, gli artisti e tutte le menti immaginative che operano e si esprimono a partire dal cuore visionario della loro creatività.”[58]. Breton, a sua volta, esclamerà, “L’amore, la poesia, l’arte, solo grazie al loro impulso potrà tornare la fiducia e il pensiero umano riuscirà ancora a prendere il largo […] per l’uomo in quanto individuo non può darsi speranza più valida e più vasta che nel colpo d’ala”.[59]

Concluderei il mio testo con due riflessioni personali. La prima prende spunto dal significato etimologico del lemma ‘conoscenza’; la seconda riguarda il processo dialettico che intercorre tra anima  e animus.

Ci accorgiamo subito che il termine “conoscenza” è composto da due elementi, co-gnoscentia dove co rimanda a ‘unione’, e gnoscentia sta per la stessa conoscenza. Il termine indica quindi che la conoscenza non è solo l’esito di un processo cognitivo, ma è invece uno stato dell’essere che accomuna l’individuo e il sapere e quindi presuppone l’abolizione della dualità tra soggetto (la persona che indaga) e oggetto (il fenomeno indagato).

La radice jña del termine sanscrito jñana, dal quale potrebbe derivare gnoscentia, non designa, a sua volta, la cognizione, bensì l’intuizione che porta alla conoscenza dove persino ‘intuizione’ non è del tutto adeguato dato che implica ancora un soggetto che intuisce e un oggetto intuito, allorché una tale dicotomia è esclusa sia dal lemma jñana che dal suo equivalente cognoscentia. Aristotele già ricordava che, «un essere è tutto ciò che conosce». In altre parole, l’essere è conoscenza così come la conoscenza è inseparabile dall’essere.

La stessa visione olistica si ritrova nei termini che designavano, nelle lingue classiche, sia l’artista, il poeta e il filosofo (che svolgeva il ruolo dello scienziato d’oggi), sia l’esito della loro ricerca. L’unica distinzione che esisteva, per i greci antichi, era quella tra un’opera frutto dell’ingegno, una creazione (demiurghìa) e quella frutto di un puro lavoro manuale ripetitivo (cheirurghìa). Così technites (tecnico), poietes (poeta) e demiurgos (creatore), come i termini sanscriti káraka e kavi, designavano tutti indifferentemente l’artista, il poeta o il filosofo-scienziato. Analogamente il greco sophia (saggezza, ma pure abilità), il sanscritto kausala (abilità sia nell’apprendere che nel fare), l’ebraico yetsirah (creazione dell’intelletto o delle mani) omologavano ciò che, con termini riduttivi e mutuamente esclusivi, chiamiamo arte, scienza, conoscenza.

Lo sviluppo del processo cognitivo portò a una dicotomia sempre più pronunciata tra un modello di conoscenza intuitiva del mondo esterno che ricorre a un approccio sintetico e olistico della realtà (implicito nei termini ricordati) e quello del modello scientifico legato invece, sino a poco fa, a una ricerca analitica, parcellare e specialistica. Così, mentre il principio di causalità ha condizionato l’investigazione scientifica, è quello acausale della sincronicità (nel senso junghiana del termine) che sottende l’intuizione illuminante. Oggi, non è certo un caso se i tre principali strumenti che permettono di avvicinarsi alla comprensione del mondo fisico – la teoria della relatività, la meccanica quantistica e la meccanica statistica – non fanno che confermare, e adottare, il modello originario, olistico, di conoscenza intuitiva del mondo esteriore.

A proposito del principio di causalità, pure Jung ha opportunamente osservato“La nostra scienza […] è basata sul principio di causalità, considerato una verità assiomatica. Nondimeno, si sta verificando un grande mutamento nel nostro modo di vedere. Dove La Critica della Ragion Pura di Kant non è arrivata lì è giunta la fisica moderna, vale a dire a mettere in dubbio l’assioma della causalità; ora sappiamo che tutte le leggi della natura sono soltanto verità statistiche, costrette, dunque, ad ammettere delle eccezioni”[60].

Altrove Jung ribadiva: “Le mie ricerche nel campo della psicologia dei processi inconsci già da molti anni mi hanno costretto a cercare (accanto alla causalità) un altro principio che li spiegasse, perché il principio di causalità mi sembrava insufficiente a chiarire certi singolari fenomeni della psicologia dell’inconscio. Trovai dapprima che vi sono fenomeni psicologici paralleli che non si possono assolutamente riferire l’uno all’altro nel loro accadimento, ma che devono stare tra loro in un altro genere di rapporto. Questo rapporto mi parve dato essenzialmente dal fenomeno della loro relativa simultaneità, donde il termine ‘sincronistico’. Sembra infatti che il tempo sia tutt’altro che un’astrazione, ma piuttosto un continuum concreto che contenga qualità o condizioni fondamentali che si possono manifestare in relativa simultaneità in luoghi diversi con un parallelismo che non si può spiegare con la causalità, come, ad esempio, in casi di simultaneo presentarsi di pensieri, simboli, o altri stati psicologici identici”[61].

L’affermazione non-dialettica di Hegel, “tutto quanto è reale è razionale, e tutto quanto è razionale è reale”, va rovesciata: tutto il reale è irrazionale e tutto l’irrazionale è reale. Il principio kantiano d’identità cede il posto, anche in campo psicologico[62], all’assunto eracliteo – ogni cosa è se stessa e insieme qualcos’altro, tutto scorre ed è coinvolto in un processo di metamorfosi senza fine. “Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume”[63].

A proposito della bisessualità della psiche èimportante ricordare la struttura e la dinamica della polarità anima-animus, nonché il rapporto dialettico di questa struttura e dinamica. Le polarità non sono mai assolute, si compenetrano a vicenda e – in condizioni determinate – ciascun polo (anima e animus, ad esempio) può trasformarsi nel suo opposto (come confermato sia da Jung sia da Freud oltre che, più recentemente, dal filosofo rumeno Stéphane Lupasco (1900-1888).

La nozione di equilibrio conflittuale avanzata da Lupasco nasce dall’aver portato a conclusione logica un aspetto della fisica moderna, in cui la nozione di evento ha sostituito quella di elemento. Il concetto degli “equilibri conflittuali” – in parte anticipato dall’idea di Engels di “equilibrio temporaneo e relativo[64]” – confuta il concetto idealistico hegeliano per cui la contraddizione dialettica tra tesi e antitesi si risolverebbe in una sintesi a carattere statico.

Tutti gli eventi (e dunque tutta la materia) esistono sotto la forma di sistema di energia. Tutti i sistemi energetici derivano la propria vitalità da dinamismi conflittuali. Tali dinamismi sono conflittuali ma non contraddittori,dal momento che sono inerenti al sistema. La natura di questi dinamismi è tale che la messa in atto dell’uno implica l’attuazione potenziale dell’altro.

È quanto Lupasco ha definito “principio di antagonismo”. Esistono due tipi di sistemi energetici: il sistema fisico,in cui l’attualizzazione dominante è a tendenza omogenea, e il sistema biologico,in cui l’attualizzazione dominante è a tendenza eterogenea[65]. Che le leggi dell’energia governino anche il mondo della materia non può sorprenderci dal momento che Einstein, fin dal 1912, ha postulato l’equivalenza tra materia ed energia[66], che implica che tutti i fenomeni fisici sono, in ultima analisi, fenomeni energetici.

Se alla luce di queste considerazioni guardiamo ora alla polarità maschile (animus)e femminile (anima), e se teniamo presente l’osservazione di Freud circa le componenti ermafrodite del Sé – a sua volta essenzialmente bisessuale – sarà facile capire perché l’Androgino Alchemico non è ermafrodita: in esso la polarità maschile-femminile non si manifesta in una sintesi ermafrodita di natura statica, nel Rebis anima e animus si trovano in una condizione di equilibrio conflittuale che lo mantiene perennemente in vita generando una sistemica di sistemi, in serie infinita. Anima e animus non sono opposti inconciliabili, ma due aspetti del medesimo Sé, la cui esistenza dipende dalla loro azione reciproca, dipende – per dirla con Engels – “dall’inclusione della differenza nell’identita”[67].

Questo assetto strutturale dà luogo alla dinamica della polarità, allo stesso modo in cui la dinamica della polarità determina la struttura della polarità. Anima e animus sono in uno stato di permanente equilibrio conflittuale. La nostra vita biologica, la nostra attività psicologica e quella creativa sono governate da un processo che comporta un’infinita serie di scissioni. Nel momento in cui lo stato dinamico di equilibrio conflittuale cede a una sintesi statica, iprocessi omogenei prevalgono sui processi eterogenei; in altre parole, noi passiamo da uno stato di esistenza a un altro stato di esistenza, uno stato che siamo stati abituati a chiamare morte.

Mi si permetta un’ultima digressione. Ad onere del vero, ed anche se in cauda venenum devo segnalare il paradosso significativo che le due più grandi menti – e non soltanto del nostro secolo – nel campo della psicologia, le due menti cui dobbiamo i progressi più fecondi per la comprensione della struttura e delle dinamiche della psiche – abbiano condiviso la stessa fondamentale incomprensione nei confronti di un’attività squisitamente psicologica come l’arte, e non siano riusciti ad afferrare un aspetto essenziale della sua virtù psicoterapeutica.

L’approccio di Freud e di Jung al valore terapeutico dell’arte è sostanzialmente aristotelico. Per Aristotele l’arte era utile in quanto dava luogo alla catarsi:“Provocava la purificazione dai sentimenti suscitati dalle forti emozioni”[68]. Altrove Aristotele metteva in rilievo che tutte le arti e le scienze sono dotate “di un principio attivo capace di trasformare una cosa in un’altra”[69]. Concetto, questo, non distante da quello espresso da Kant in uno dei suoi ultimi saggi.

Nel 1906 Freud scriveva: “Il nostro effettivo godimento di un lavoro di fantasia deriva dalla liberazione di tensioni della nostra psiche”[70]. Sette anni dopo rilevava: “La Psicoanalisi non ha difficoltà ad indicare, accanto alla parte manifesta del godimento artistico, un’altra che è latente benché assai più intensa, derivante dalle fonti nascoste della liberazione istintuale”[71]. Inoltre – cosa più grave – Freud condivideva il concetto platonico dell’aspetto psicopatologico dell’arte. Scriveva Platone: “Nessun uomo, padrone dei propri sensi, raggiunge un’intuizione vera o ispirata, può farlo soltanto quando il potere dell’intelletto è obnubilato dal sonno, dal morbo o dalla follia”[72].

Di rimando, Freud: “L’artista si ritirerebbe, come il nevrotico, in questo mondo fantastico, fuggendo una realtà poco soddisfacente, però, a differenza del nevrotico, l’artista sa trovare la strada del ritorno dal mondo della fantasia alla realtà. Le sue creazioni, le opere d’arte, sono soddisfazioni fantastiche di desideri inconsci, come i sogni, con i quali esse dividono il loro carattere di compromesso, in quanto anch’esse debbono evitare il conflitto con le forze della rimozione…”[73]. “Le forze che motivano gli artisti sono gli stessi conflitti che conducono altri individui alla nevrosi”[74]. Marie Bonaparte ha espresso il nucleo del pensiero di Freud sull’argomento, dettando: “Gli stessi meccanismi, che nei sogni o negli incubi presiedono all’elaborazione dei nostri desideri più intensi e più accuratamente nascosti desideri che sono talora i più ripugnanti alla coscienza, presiedono altresì all’elaborazione dell’opera d’arte”[75].

Ovviamente opinioni del genere portarono all’impossibilità di elaborare una qualsiasi teoria della cultura e dunque dell’arte, nonché alla totale incomprensione dell’arte moderna. Quando, nel 1922, Karl Abraham inviò a Freud il proprio ritratto eseguito da un pittore espressionista, Freud gli rispose: “Ho ricevuto il disegno che, in teoria, rappresenta la sua testa. È orrendo. So bene quale eccellente persona lei sia e sono quindi tanto più scosso dal fatto che una piccola debolezza del suo carattere come la tolleranza o simpatia per l’arte moderna sia stata così crudelmente punita”[76]. L’incontro di Freud con André Breton, il 10 ottobre 1921, era stato glaciale.

Diciassette anni dopo, il 20 luglio 1938, Freud scriveva a Stefan Zweig: “Debbo davvero ringraziarla per avermi inviato la persona [Salvador Dalí] che è venuta ieri a trovarmi. Fino a ieri, infatti, ero incline a considerare i Surrealisti, i quali sembrano avermi scelto come Santo Patrono, dei puri folli, o, diciamo, folli al 95%, come l’alcol ‘puro’[77]. Il giovane spagnolo, con i suoi occhi innegabilmente sinceri e fanatici e la sua indiscutibile maestria, ha suscitato in me un giudizio diverso. Sarebbe assai interessante esplorare le origini di questa pittura dal punto di vista analitico. Peraltro, dal punto di vista critico, si potrebbe aggiungere che il concetto di arte ha resistito, malgrado il rapporto quantitativo tra materiale inconscio ed elaborazione preconscia sia ormai ben lungi dal mantenersi entro certi limiti. In ogni caso, comunque, questi sono problemi psicologici seri”[78]. Le ultime due frasi di Freud hanno valore di riscatto, e altrove[79] sono tornato sull’importante problema al quale accennano.

Non meno incompreso il giudizio di Jung sull’arte moderna. Nel 1916 o 1917, ad Ernest Jones che gli chiedeva la sua opinione sul movimento dadaista che aveva appena iniziato la sua attività a Zurigo, Jung ebbe a dire: “Troppo idiota per una pazzia decorosa”[80]. Nel 1932 definì arte “singolare” quella di Picasso, e aggiunse: “In base alla mia esperienza, posso garantire al lettore che la problematica psichica di Picasso, così come si esprime nella sua ar­te, è perfettamente analoga a quella dei miei pazienti”[81]. Nel 1945 si chiese “come siapossibile spiegare l’elemento sfacciatamente patologico che affiora nella pittura moderna”[82]. Sette anni più tardi parlava del “tragico destino che ha colpito l’arte moderna”[83], e nel 1958 dava libero sfogo all’indignazione:

“Questi pittori [moderni] si sono per così dire abbandonati completamente allo spirito di decomposizione, ed hanno creato un nuovo concetto di bellezza che trova motivo di soddisfazione nell’estraniarsi da ogni significato e da ogni sentimento. Tutto è costituito di cocci, frammenti inorganici, buchi, garbugli, incroci, infantilismi e goffaggini che sono all’altezza, e neanche sempre, di inettitudini primitive, e tradiscono l’idea tradizionale di abilità tecnica. Come la moda trova ‘bella’ ogni innovazione, per assurda e ripugnante che sia, così fa anche l’ ‘arte moderna’ di questa specie. È la bellezza del caos. Ciò che quest’arte proclama e decanta è lo scintillante mucchio di cocci a cui s’è ridotta la nostra cultura”[84].

Se Aristotele, Platone, Freud e Jung, a proposito del ruolo catartico dell’arte, hanno mancato il bersaglio, è proprio in quanto condividono una visione soggettiva, etica e teleologica della psiche[85] e della sua struttura. Paradossalmente, malgrado il suo rigido puritanesimo vittoriano, Freud ha formulato una teoria rivoluzionaria della sessualità, mentre Jung, malgrado la sua natura profondamente mistica, ha elaborato una teoria della psiche che offre tutti gli elementi per valutare l’uomo alla luce di una teoria monista, materialistica ed eticamente neutra. Questo lungo ultimo excursus può sembrare lontano dal discorso della Stroppa, in realtà, oso pensare che nel testo della nostra analista questi elementi anche se non pienamente sviluppati siano sottointesi. 


[1] Moretti e Vitali, Bergamo 2010

[2]  Henri Bergson, L’évolution créatrice (1907) trad. it.  Fabio Polidori, R. Cortina, Milano 2002, p. 147

[3] C.G. Jung, “The Tavistock Lectures”, I (1935), in The Symbolic Life, Collected Works, 18, Princeton University Press, 1976, p. 14

[4] idem, Tipi psicologici (1921), Opere, vol. vi, Boringhieri, Torino 1969, p. 371

[5] Max Planck, The Philosophy of Physics, Norton, New York 1936, p. 83

[6] Il satiro e la luna…, cit., p. 206

[7] Il satiro…, op. cit. p. 156

[8] loc. cit.

[9] André Breton, “Manifeste du Surréalisme” (1924) in Manifestes du surréalisme, J.J. Pauvert, Parigi 1962; trad. it. di Liliana Magrini, Manifesti del surrealismo, Einaudi, Torino 1966, p. 30

[10] “Situazione politica del Surrealismo” (1935) in Manifesti, cit., p. 206

[11] “Das Ewig-Weibliche zieht uns hinan”, finale del Faust I

[12] Il satiro…, p. 155

[13] idem, p. 159

[14] Breton, “Prolegomeni a un Terzo Manifesto del Surrealismo” (1942) in Manifesti,  p.  218

[15] Breton, Situation du Surréalisme entre les deux guerres, Ed. de la Revue Fontaine, Paris et Alger 1945 ripreso in La Clé des Champs, Editions du Sagittaire, Paris 1953, p. 68

[16] Breton, “Le Surréalisme et la tradition” (1956), in Perspective cavalière,  a cura di Marguerite Bonnet, Gallimard, Paris 1970, p. 127

[17] Breton, Manifesti del surrealismo, cit.  p. 153

[18] da una lettera “du voyant” datata 13 maggio 1871 a Georges Izambard

[19] Benjamin Péret, Anthologie de l’amour sublime,Albin Michel, Parigi 1956, p. 49.

[20] A. Badiou intervistato da Nicolas Truong, Éloge de l’amour, Flammarion, Paris 2009, p. 26

[21] Idem, p. 33

[22] Il satiro…, op. cit.  p. 22

[23] loc. cit.

[24] Eliphas Levi,  Dogme et rituel de la haute magie (1855-56),Editions Niclaus, Parigi 1960, p. 36.

[25] Péret,  Anthologie de l’amour sublime, cit., p. 21.

[26] ibid., p. 62.

[27] Charles Fourier, Théorie des quatre mouvements et des destinées générales (1808), J.-J. Pauvert, Parigi 1967, p. 147.

[28] Fourier, Théorie de l’unité universelle ou Traité de l’association domestique agricole (1822), in Œuvres complètes, voll. ii-iv, Anthropos, Parigi 1966-68, vol. iv, p. 61.

[29] Il satiro…, p. 145

[30] Breton, “Enquête sur l’amour” (1929), in La Revolution Surréaliste (Paris), n. 12 (15 dicembre 1919), p. 65

[31] Il satiro…, p. 206

[32] Breton, A., “Du Surréalisme en ses œuvres vives” (1953)., in Manifesti…,  cit. p. 232

[33] Levi,  cit., p. 85.

[34] Fourier, C., Le nouveau monde amoureux, in Œuvres Complètes, cit.,vol. vii, , p. 34.

[35] Breton, “Du Surréalisme en ses œuvres vives”, cit. p. 232.

[36] Péret, Anthologie de l’amour sublime, cit., pp. 23, 25.

[37] Il satiro…, p. 253-54.

[38] “Du Surréalisme en ses œuvres vives”, cit., p.  233

[39] Manifesto del Surrealismo (1924) in Manifesti…, op. cit., p. 12

[40] Il satiro…, p. 58

[41] Breton,  Anthologie de l’humour noir,Sagittaire, Parigi 1940, p. 97; trad. it.di Mariella Rossetti e Ippolito Simonis, Antologia dello humour nero,Einaudi, Torino 1970, p. 138.

[42] Breton, A., Arcane 17 / Enté d’ajours,Sagittaire, Parigi 1947, p. 78; trad. it. di Laura Xella, Arcano 17, Guida, Napoli 1985, p. 42

[43] C.G. Jung, Psychology and Alchemy (1944), C. W.  cit, vol. xii, 1971, p. 283.

[44] Breton, Les vases comunicants, Editions des Cahiers Libres, Parigi 1932, p. 81.

[45] Breton, Arcane 17 / Enté d’ajours, cit., p. 135, p. 64 trad.it. cit

[46] ibid., p. 94, trad. it. cit. p. 49

[47] ibid., p. 70; trad. it. cit. p. 39, i corsivi sono di Breton.

[48] Breton, Poisson soluble (1924) in Manifestes, cit. p. 116.

[49] Breton, “Introduction”, in Contes bizarres d’Achim d’Arnim, Editions des Cahiers Libres, Parigi 1933, p. 25.

[50] Breton, Arcane 17…, cit., p. 47, p. 30 trad. it. cit. it.

[51] Breton, Entretiens 1913-1952 avec André Parinaud…, NRF, Parigi 1952, p. 220.

[52] Breton, Introduction au discours sur le peu de réalité, Librairie Gallimard, Parigi 1927, p. 13.

[53] Breton, L‘amour fou, (1937), Gallimard, Paris, p. 132; trad. it. F. Albertazzi : L’Amour fou, Einaudi, Torino 1974, p.  106.

[54] Fourier, Le nouveau monde amoureux, cit., p. 326.

[55] D. Gnosius, Hermetis Trismegisti Tractatus vere aureus, de lapidis philosophici secreto, in capitula septem divisus: nunc vero a quodam anonymo, scholijs tam exquisite & acute illustratus, Lipsiae 1610, p. 417.

[56] G. Dorn Congeries Paracelsicae chemiae de transmutationibus metallorum, Francoforti ad Moenum 1581, p. 578.

[57] Il satiro…, cit., p. 245

[58] idem, p. 54

[59] Breton, Arcane 17/Enté d’ajours, trad. it. cit.p. 30

[60] Jung, “Foreword to the I Ching”, CW, XI, p. 590.

[61] Jung, “Foreword to the Secret of the Golden Flower”, citato in Memories, Dreams and Reflections,1961, Collins, Londra 1972, pp. 418-19.

[62] Negli altri campi, Marx e Engels avevano già dato il colpo di grazia ai postulati fondamentali della logica classica: il Principio d’identita e il Principio di non Contraddizione. Ai primi del Novecento, Max Planck 1900, Einstein 1905 e 1912, Bohr 1908, e più di recente, Pauli, hanno dato una solida base scientifica (confermata sperimentalmente) alle intuizioni di Marx ed Engels.

[63] Eraclito, Frammenti, Diels 49a.

[64] Engels, Dialectics of Nature, op. cit., pp. 169-70

[65] Presento qui una versione sintetica e molto approssimativa della concezione di Lupasco (che non rende certamente giustizia alla ricchezza del suo pensiero; ogni tentativo di condensazione comporta un impoverimento) basata sui seguenti saggi di Lupasco: Energie et Matière Psychique, 1955; Les Trois Matières, 1958; Microphysique et Matière Psychique, 1958; raccolte insieme a Les dialectiques de l’Energie, 1958, ne Les Trois Matières, Union Générale d’Editions, Parigi 1970. Vedi anche Lupasco, L’Energie et la Matière Psychique, Julliard, Parigi 1974, e L’Energie et la Matière Vivante, Julliard, Parigi 1974.

[66] In base alla famosa equazione: E = mc2, in cui E è l’energia, m la massa e c la velocità della luce.

[67] Engels, Dialectics of Nature, op. cit., p. 183.

[68] Aristotele: Dell’arte Poetica, Mondadori, Milano 1974, 1: 6.2, p.19. Questo giudizio si riferisce alla tragedia, ma pochi paragrafi oltre (1.6.8) Aristotele fa riferimento, benché criticamente, anche alla poesia e alla pittura.

[69] Aristotele: La Metafisica, Cedam, Padova 1950, IX.2.1, p. 317.

[70] Freud: “Creative Writers and Day-Dreaming”, 1907, SE, IX, p. 153. Tutte le citazioni delle oper di Sigmund Freud, se non altrimenti indicate, sono tratte da The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, The Hogarth Press and the Institute of Psycho-Analysis, Londra, da ora in poi abbreviate in SE.

[71] Freud: “The Claims of Psycho-Analysis to Scientific Interest”, 1913, SE, XIII, p. 187.

[72] Platone, Timeo, Bobbs-Merrill, Indianapolis and New York 1959, p. 87.

[73] Freud: “An Autobiographical Study”, 1924, SE, XX, pp. 64-65.

[74] Freud: “The Claims of Psycho-Analysis to Scientific Interest”, op. cit., p.187.

[75] Marie Bonaparte: “De l’élaboration et de la fonction de l’œuvre littéraire”, in Edgar Poe, con una prefazione di Freud, Denoël et Steele, Parigi 1933, vol. II, p. 789.

[76] A Psycho-Analytic Dialogue / The Letters of Sigmund Freud and Karl Abraham /1907-1926, edizione a cura di H.C. Abraham and E.L. Freud, tradotto da B. Marsh and H. Abraham, The Hogarth Press and the Institute of Psycho-Analysis, Londra 1965, p. 332.

[77] Qualche anno prima, in una lettera ad André Breton datata 26 dicembre 1932, Freud espresse lo stesso concetto in termini più diplomatici: “Ed ora le faccio una ammissione che lei dovrà accettare con tolleranza! Per quanto abbia ricevuto molte prove di stima da parte sua e dei suoi amici nei riguardi delle mie ricerche, io sono incapace di chiarire a me stesso che cosa il Surrealismo voglia. Forse poiché io sono distante dall’arte, sono anche completamento incapace di capirlo” (“Trois lettres de Sigmund Freud a André Breton”, in André Breton, Les vases communicants, 1932, Gallimard, Parigi 1973, p. 176.)

[78] Freud, Lettere 1873-1939: Ernst L. Freud ed., Boringhieri, Torino 1960, p. 413.

[79] A. Schwarz, “L’Uomo dalle braccia alzate” in Rivista du Psicologia analitica (Venezia), VI:2 (ottobre 1975)

[80] Ernst Jones, Sigmund Freud / Life and Work, The Hogarth Press, Londra 1974, vol II, p. 44.

[81] Jung, “Picasso”, 1932, CW, XV, p. 135. Tutte le citazioni delle opere di C.G. Jung, se non altrimenti indicate, sono tratte da C.G. Jung, The Collected Works, Routledge and Kegan Paul, Londra, d’ora in poi abbreviato in CW.

[82] Jung, “After the Catastrophe”, 1945, CW, X, p. 210.

[83] Jung, “Answer to Job”, 1952, CW, XI, p. 446.

[84] Jung, “Flying Saucers / A Modern Myth of Things Seen in the Skies”, 1958, CW, X, p. 383.

[85] Aristotele: “Ogni cosa lotta per raggiungere la perfezione, l’unione ultima del Tutto nell’Uno”. Platone: “Ogni cosa esiste nella misura in cui tenta di raggiungere la meta della maggior perfezione possibile”, Timeo.